IF research


scopi associativi


1 - CREARE DIBATTITO SULLA QUALITA' ARCHITETTONICA

come risorsa essenziale per lo sviluppo delle città, e creare un'occasione di confronto dedicata alla Pubblica Amministrazione che, come Committenza, ha il ruolo di garante della migliore offerta progettuale sullo spazio pubblico


2 - SENSIBILIZZARE LA COLLETTIVITA'

al valore dell'architettura come strumento in grado di trasformare i problemi quotidiani in opportunità di miglioramento. Coinvolgere altre figure professionali per sensibilizzare al ruolo dell'architetto come "sintetizzatore" degli elementi d'indagine che provengono da altri campi


3 - SVILUPPARE ATTIVITA' DI RICERCA

con ricadute operative in ambito architettonico

obiettivi del blog


1 - INFORMAZIONE

sulle attività svolte dall'associazione, gli appuntamenti, i momenti di incontro aperti agli associati in primo luogo e a tutti gli interessati


2 - CREAZIONE DI UNO SPAZIO APERTO DI DIBATTITO

sui temi dell'architettura, della città, dello spazio urbano

sulla 12° mostra di architettura

Raccogliendo l’invito di Marco a commentare i fatti della architettura, mi cimento con una osservazione sulla 12 Mostra di architettura alla Biennale di Venezia.
Partiamo da questo: Io la intitolerei: People meet in wich architecture?
Perchè nonostante l’evidente intento riduzionista dei curatori, che hanno radicalmente tagliato il numero delle partecipazioni rispetto alle passate edizioni, e la celebrazione di se stessi (Rolex Learning Center), degli amici (Ishigami che ha vinto il Leone d’oro) e dei propri maestri (Ito), sono molte le facce del prisma architettonico che si offre al people che speranzoso si affaccia nelle sale espositive to meet quello che viene classificato come architecture.
Ognuno in pratica ha portato quello che voleva, disinteressandosi del titolo che faceva presupporre un orientamento “sociale” alla richiesta di partecipazione, e d’altronde ce lo potevamo immaginare dato che buona parte dei partecipanti non sono famosi per avere nel pedigree una attenzione per il people, quanto per le proprie soggettive e spesso suggestive convinzioni.
Si potrebbe parlare a lungo di ognuna di queste soggettività, e del naturale individualismo che connota lo svolgimento del processo progettuale nelle sue fasi ideative, salvo poi affidarsi alle ingegnerizzazioni per la messa in pratica di tali idee. Si potrebbe parlare a lungo dei motivi che spingono questi partecipanti a rifiutare i contesti fisici, sociali, politici, culturali in cui inseriscono i loro progetti; forse semplicemente questi contesti grazie ai nuovi metodi di analisi sono divenuti troppo forti, spesso più forti dei progetti stessi, e l’orgoglio del progettista non tollera di scendere a patti con essi (in molti lo pensano e solo Olgiati ha avuto la lucidità di ammetterlo), quando c’è stato chi come MVRDV ha ottenuto ogni risultato progettuale della propria vita solo intersecando i (numerosi) dati di partenza.
È a causa di questo panorama omogeneo e tutto sommato astratto dalla realtà che tra le partecipazioni ne spiccano alcune in netta controtendenza, e che hanno davvero cercato di meet the people non tanto venendo incontro ai desideri delle persone, ma mettendole in condizione di riflettere su quali siano le scelte e le responsabilità a cui l’architettura sta andando incontro in questo periodo storico. AMO, con Preservation e Cronocaos ha toccato un tasto nevralgico su cui si dibatte ovunque e in particolare in Italia, quello del riutilizzo di tutti quei grandi edifici industriali, commerciali, culturali, cultuali etc. che caratterizzano e strutturano i tessuti urbani delle città europee con la loro presenza fisica, ma che hanno perso la loro funzione e spesso giacciono abbandonati o in cerca di un nuovo destino. È possibile individuare strategie per affrontare il problema? O per dirla alla Ruskin è un problema che non si pone, perché un opera che ha un valore architettonico non si può restaurare? Eppure la materia e pulsante, tanti sono gli interessi in gioco; politici che scommettono le loro carriere sulla rivitalizzazione dei contenitori urbani, tessuti sociali consolidati che vengono sconvolti dalla morte della fabrica che ha determinato la loro nascita, enormi interessi economici dietro alle previsioni di progettazione urbana e alle decisioni di riconversione. Ce lo ha detto chiaramente la Russia, nel suo padiglione nazionale, in cui pone giustamente la questione ma poi la risolve banalmente proponendo i soliti centri commerciali. Ce lo ripete il Giappone nel piccolo interessantissimo video sul metabolismo (non quello di Kikutake) urbano, e che stretto come una rosa preziosa in un giardino di cactus fatto di plastici enormi e insulsi, racconta quale sia il modo con cui la cultura urbana giapponese da sempre affronta il problema del riuso. Non ne parla la Cina, che espone uccellini anziché affrontare il vero pressante problema del recupero dei suoi centri urbani assediati dalla ondata capitalista, e incredibilmente non ne parla neanche Italia-Ailati, che anziché incontrare il people su un terreno che riguarda tutti e di cui tutti sentono l’esigenza, preferisce esporre un inutile, e già ampiamente celebrato dalle riviste di settore, regesto di operazioni che conviene chiamare edilizie più che architettoniche.
Lo stratagemma più riuscito di tutto l’allestimento è l’aver posizionato i grandi modelli bianchi di Aires Mateus subito sotto Cronocaos di AMO. Il tremendo passaggio da una sovrabbondanza di significati, informazioni, ipotesi, citazioni, al nullismo quieto e silenzioso di chi con tutto quello che lo circonda non si vuole confrontare.
Viene voglia di chiedersi: non riponiamo forse troppe speranze su questa che in fondo è solo una mostra? Sejima è lì a ricordarcelo.

Francesco Stolzuoli